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lunedì 15 agosto 2011

Vivete, Amate, Ricordate, Desiderate, Maturate, Sfogatevi, Donate.

Vivete! Tutto ciò che si prova, piangendo o sorridendo, è da vivere!

Amate! Tutto ciò che è intorno a noi ci fa vivere davvero!

Ricordate! Tutto ciò che vivete deve rimanere marchiato a fuoco nella mente!

Desiderate! Tutto ciò che vi manda avanti è frutto dei vostri desideri!

Maturate! Tutto ciò che vi arreca danno vi fa crescere ogni volta di più!

Sfogatevi! Tutto ciò di cui avete bisogno per consolarvi è già posto in voi!

Donate! Tutto ciò che non è necessario per voi, fa vivere qualcun altro.

Sciocche considerazioni.

Un mondo senza falsità è un'utopia, un mondo senza verità è una bugia.

Gli ultimi momenti di follia.

Questi momenti in cui vorresti solamente essere con te stesso, vorresti pensare al nulla o non pensare al tutto. E poi ti rendi conto di ciò che hai sottovalutato finora.

Il tuo battito cardiaco. Un fruscio. Il cinguettio degli uccelli. La brezza notturna. Lo scricchiolare del pavimento. Il fragore di una cascata. Il rombo delle auto. Un martello pneumatico. Il battere i tasti di un pianoforte. Un oggetto che cade. I ticchettii di un'orologio. Un bambino che piange. Una porta che cigola. L'amico che ti chiede aiuto. La madre che urla e di nuovo il tuo battito cardiaco.

Ti rendi conto che tutto ciò che è intorno a te è musica, ritmo irrefrenabile, basta ascoltare. E comprendere ciò con cui si viene a contatto. Ma è troppo tardi.

Poi, il nulla.

Capitolo cinque: Piacevoli tormenti

26 Dicembre 1892, Neval, Archadia.



Quella fu probabilmente una delle giornate più importanti degli ultimi tempi.

Capii molto di ciò che era successo in passato e di ciò che avrei dovuto fare in futuro.

La mia narrazione riparte.

 

-Si Ludwig, tu non lo sai, ma io ti conosco molto bene. Ti lascio nelle mani di mio fratellino, appena sarai stato medicato per bene, avrai le risposte che da tanto cerchi.

-Ma io non capis...

-Ora… farà…un po’… male…- mi zittì Ken scandendo violentemente le parole mentre teneva l’ago.

Brandiva l’ago per la sutura come se fosse un’arma letale; lo fissai con aria terrorizzata, non perché lo fossi veramente, ma per cercare di fargli capire di usare la maggior cautela possibile, avevo bisogno di sentirmi sicuro, non in pericolo. Soprattutto perché ero in ansia di sapere come facesse quell’uomo a conoscermi. Non mi ero mai fidato troppo di questo tipo di dottori.

Infilò l’ago bucandomi la pelle.

Pensavo di cominciare a urlare come un bambino, e probabilmente lo avrei fatto, se solo avessi provato dolore.

-Se ti stai chiedendo perché non ti fa male, ti stai ponendo la domanda giusta, e so come risponderti. Per il forte impatto hai perso la sensibilità in quella zona della testa, e non sentirai dolore ancora per alcune ore. E’ un aspetto affascinante della medicina- affermò con i denti bianchissimi scoperti- non molti lo sanno, è per questo che sono terrorizzati alla vista degli oggetti affilati.

-E’ davvero strano, non avrei mai immaginato una cosa del genere, d’altronde è la prima volta che do una botta del genere…

-Ecco qua, come nuovo, ti conviene ripassare fra qualche giorno, quando la ferita si sarà richiusa e non sarà più fresca, così avrò modo di finire la medicazione e toglierti i punti; ora vai, penso che mio fratello abbia qualcosa di importante da dirti.

-Grazie signore, posso ricompensarla in qualche modo?

-Tranquillo ragazzo, è cosa da poco, ora và, non farlo aspettare, fra poco dovrà tornare al lavoro!

Trovai Korm intento a lavorare una sculturina di legno con un coltello ricurvo, abbastanza affilato.

-Un bel passatempo, davvero un bel passatempo… sfrutti il cervello, e hai anche lo spazio per pensare… proprio un bel passatempo- mi sussurò l’uomo.

-A tutti piace avere il tempo per pensare, e sfruttare la creatività è molto importante per noi, pochi però sanno che la vita ha un senso solo se sfruttata appieno, secondo me per raggiungere la felicità bisogna mettere a frutto ciò che abbiamo a disposizione per produrre qualcosa di creativo, e cercare sempre di superare i propri limiti. Se non fosse così la nostra vita sarebbe vuota e senza senso, distrutta dalla routine giornaliera.

-Mi piaci ragazzo, interrogarti su questioni così profonde già alla tua età, e cercare di raggiungere la felicità anche se hai perso i tuoi cari genitori. Sai, mi sembra strano che tu abbia preferito dedicarti a queste attività invece di cercare di capire cosa sia successo davvero in tutto questo tempo. Non te lo sei mai chiesto?

-Semplicemente ho cercato di dimenticare per andare avanti… All’inizio, sì, all’inizio mi sono posto molte domande, parenti che non conoscevo venivano a visitarmi per raccontarmi l’accaduto, per confortarmi, per offrirmi una casa. Allora avevo 15 anni, e avevo già capito tutto. Non ho mai desiderato l’aiuto di nessuno, non ne avevo bisogno. Perché avrei dovuto desiderare l’aiuto di parenti che non conoscevo, gente che era saltata fuori solo quando le era più comodo, per avere non una bocca in più da sfamare, ma due braccia in più per lavorare. Sapevo fin dall’inizio che sarei stato sfruttato, che nessuno avrebbe riconosciuto i miei veri diritti… Patrigni e matrigne brutti, cattivi e aggressivi? No, non ne avevo bisogno… Ho preferito rimanere nella mia casa, con le mie cose, anche se era tragicamente vuota.

Ho smesso di pensare a ciò che avevo perso dopo qualche mese, la fatica nel curare l’orto e nel cercare qualche lavoretto per pochi spiccioli mi distruggeva alla mia età, non avevo il tempo per riflettere, né le forze; era allora che avrei avuto bisogno del suo passatempo- indicai la statuetta con un sorriso- ero consapevole che non sarei potuto andare avanti così per molto tempo, avevo già buttato sette anni della mia vita ripetendo le stesse azioni ogni giorno, ero stanco di scappare dai problemi, dovevo affrontarli. Ho intrapreso questo viaggio anche nella speranza di capire cosa era successo ai miei genitori, la loro scomparsa era troppo sospetta.

-Esatto, hai colto nel segno. La loro scomparsa è tuttora troppo sospetta, ed io li conoscevo bene. I signori Loodle erano miei amici da lungo tempo… Sai dove ci siamo incontrati la prima volta? Sulla stessa riva in cui ho incontrato te. All’epoca erano molto giovani, ricordo molto bene tuo padre Lorenz, aveva sempre avuto i tuo stessi capelli, metà ricci e metà lisci, sempre arruffati, indomabili. Invece tua madre, Larissa, aveva i tuoi stessi lineamenti, dolci e un po’ di lentiggini sparse qua e là, se guardo nei tuoi occhi, celesti e marroni con venature verdi, posso rivederli ancora. Quei colori rari da trovare, erano la combinazione di quelli dei tuoi genitori. Ahhh, basta cercare di ricordarli, stavo raccontando come li avevo conosciuti! Dunque, ah si, dicevo, ci trovavamo sulla stessa riva in cui ho trovato te. Come al solito stavo pescando, facevo il mio lavoro da vent’anni, solo quello potevo fare- aggiunse con tono divertito- e faceva un caldo assurdo. Dopo qualche ora ho visto i tuoi che camminavano mano nella mano in mezzo all’ombra degli alberi… Erano giovani, una coppia perfetta, ancora facevano i piccioncini, ma quel giorno c’era qualcosa di diverso nell’aria, una strana elettricità, un brutto presentimento, che non sapevo spiegarmi in alcun modo.

Lorenz e Larissa avevano steso una tovaglia a quadri sul prato e stavano riposando insieme. Io mi ero appisolato dietro un masso, lì avevo assicurato la canna da pesca.

Successe tutto in un attimo.

Un’enorme pesce balzò dall’acqua, era delle dimensioni di una piccola orca, possedeva una lunga fila di denti che avrebbe fatto invidia a qualunque appartenente al regno animale. All’inizio fui sorpreso quanto terrorizzato, ma ebbi il tempo di agire. Il “mostro”, ancora sollevato a mezz’aria, si diresse verso la coppia. Non potevo permetterlo. Guardando quei due vedevo ciò che avevo sempre desiderato, una vita serena e spensierata, probabilmente una famiglia che si sarebbe allargata dopo qualche tempo (non eri ancora nato), non sarei riuscito a sopportarlo. Mentre si avvicinava verso di loro ebbi il tempo di spingerlo di lato, abbastanza lontano. Pensavo che fosse finita, era tornato in acqua, ma non ebbi il tempo di girarmi che mi era di nuovo addosso. Ricordo solo un dolore lancinante alla spalla, e poco dopo più niente.

Mi svegliai nell’infermeria di mio fratello, ancora mezzo intontito dal dolore, non capivo nulla, tranne che il mostro mi aveva portato via il braccio. Davanti a me c’erano i tuoi genitori. Non potrei mai dimenticare i loro occhi colmi di gratitudine e di compassione, gonfi di lacrime.

Non mi avevano abbandonato un solo minuto. Dopo che il pesce era scappato con un bottino nell’infausta bocca, cercarono invano di farmi rinvenire, tornarono al villaggio cercando aiuto e trovarono fortunatamente mio fratello. Da quel giorno li ho considerati praticamente miei figli, tanto mi era a cuore la loro vita.

Mi informai di più sulla bestia. Quel maledetto essere era un pesce molto raro, soprannominato Galkimasela prendendo spunto da antiche leggende. Si diceva che apparisse nei fiumi di montagna laddove si nascondesse una coppia, per distruggere i cuori dei due amanti. Una bestia malvagia e senza pietà, torna ad attaccare le prede che non è riuscito a eliminare in precedenza.

E così ogni giorno, da venticinque anni, torno nello stesso posto in cui l’ho visto, tentando di catturarlo. Ogni giorno tornava da me, ma non riuscivo mai a ucciderlo, ogni santissimo giorno avevo una trappola diversa, ma lui no, riusciva sempre a fuggire. E poi sei arrivato tu, ragazzo. Lo stesso giorno si ripresentò Galkimasela, in tutta la sua grandezza. Sei stato piuttosto sfortunato a trovartelo sotto, quella dannata bestia non la finiva di strattonare la tua zattera. Dal momento in cui ti ho visto avevo capito che la storia si sarebbe ripetuta, mi trovavo di nuovo a difendere una persona cara. E’ stato in quel momento che ho capito tutto, era quando difendevo qualcuno che avevo la forza necessaria a reagire. Ho fatto appena in tempo a tirarti fuori dall’acqua, che quel bastardo si è diretto di nuovo verso di te, ho messo da parte tutte le trappole che avevo preparato, mi ero reso conto che non lo avrei mai battuto così, e mi sono lanciato tra te e lui con il mio fidato coltello. Lo sollevai appena sopra la testa, lui ci passo sopra durante il balzo, e bastò per squartare il pesce dalle branchie alla coda. Non uscì sangue: svanì nell’aria, emettendo suoni terribili: ascoltando più attentamente mi resi conto che erano le voci di tutte le vittime che aveva ucciso, e purtroppo il suo grido mi sembrò decisamente troppo lungo. Subito dopo si vaporizzò e, non chiedermi come, mi svegliai a casa. Mi ritrovai disteso sul pavimento a pochi metri dal mio letto.

Questa è la mia versione, ha dell’incredibile, non credi?

-Senza alcun dubbio… ma come mai se lei conosceva talmente bene me e i miei genitori non l’ho mai vista entrare in casa mia?

-Ludwig, i tuoi mi avevano detto che appena mi guardavi scoppiavi a piangere, è stata per mia volontà che non sono quasi mai venuto a trovarti… poi otto anni fa, l’incredibile scomparsa dei tuoi… Stentavo a crederci, non mi sembrava vero, era impossibile che avevo perso l’unica cosa che mi aveva mantenuto felice tutto quel tempo. Appena ho saputo che tu c’eri ancora, cercai di raggiungerti, ma i tuoi parenti mi impedirono di prenderti in custodia. Ero ridotto piuttosto male, il fumo e l’alcool mi avevano distrutto, e in più ero senza un braccio, non ero capace di accudirti come i tuoi genitori. E in più tu non mi avevi mai visto in vita tua, non ti piacevo da quando eri piccolo, non potevo entrare nella tua vita così, come un perfetto sconosciuto.

-Capisco, ti ringrazio per avermi raccontato tutti questi particolari, ne avevo bisogno.

-Non ho ancora finito con le sorprese però,- mi stupì, con questa frase, pensavo che avesse terminato il suo discorso- sai bene che non si sa nulla sulla scomparsa dei tuoi, né ora, né luogo, né se per colpa di qualcuno, nulla. In questi anni non sono rimasto di certo con le mani in mano, ho continuato a cercare informazioni. Tempo fa ho incontrato una vecchietta che diceva di sapere cosa era successo, non so se dicesse la verità, ma una cosa è sicura, tentar non nuoce. Ora ci sei tu, ragazzo, penso che sia tuo il compito di cercare i tuoi genitori, ho sempre immaginato di poterli trovare ancora vivi, chissà, magari stanno cercando di tornare a casa, da te. Si sa che sono scomparsi, ma non che sono morti, e i loro cadaveri non sono stati trovati. Dovresti cercare una risposta per il tuo enigma, magari Dio ricompenserà i tuoi sforzi.

Le ultime frasi di Korm mi avevano totalmente scombussolato. I miei genitori? I miei genitori ancora vivi? No, non poteva essere, era un’assurdità, non poteva essere vero… Ma un fondo di verità forse c’era… Nessuno aveva notizie certe della loro morte, e in più, se fossi stato fortunato, avrei potuto riabbracciare ciò che avevo amato di più al mondo.

-La vecchietta si trova sul percorso che porta alla prossima città, Kaleb, dalla tua espressione vedo che hai preso una decisione. Ti ho raccontato tutto ciò che avevo da raccontarti, non ho più niente da dirti, ti auguro buona fortuna, e se sai qualcosa di nuovo non tardare ad informarmi, mi raccomando!- strinse l’occhiolino compiaciuto del suo discorso.

Non ebbi nemmeno le forze per salutarlo, tanto ero sconvolto e ansioso per ciò che mi aspettava.

-Ho ascoltato la vostra conversazione- Kelly apparse improvvisamente da dietro un albero –voglio venire con te. La vita qui mi distrugge e voglio cambiare, so che sto sprecando gran parte del mio tempo in questa città, e sinceramente, mi hai colpito, non so perché. Forse per le tue parole, la tua compostezza, la voglia che hai di cambiare… siamo accomunati da tutto ciò, e ormai sono abbastanza grande da poter scegliere ciò che è meglio per me.

Il suo sorriso continuava a sondarmi l’anima, non potevo rifiutare una sua proposta, soprattutto mentre sorrideva.

Kelly ci mise due giorni a preparare il necessario, da donna che era, e durante tutto quel tempo Ken e Korm mi costrinsero a rimanere da loro.

 

E’ venuto il momento della partenza. Kelly sapeva bene che non era un viaggio leggero e adatto a tutti, ho provato a dissuaderla, più per educazione che per cercare di evitare che mi seguisse, non mi avrebbe dato affatto fastidio la sua presenza.

Ken ha avuto il tempo di togliermi i punti dalla testa e medicarmi, e preparate le provviste siamo finalmente pronti ad incamminarci.

Non riesco più a contenere la mia contentezza, la mia speranza, le mie fottute ansie. So solo che erano piacevoli tormenti.

Chissà se sarei riuscito anche a conquistare Kelly. Per ora, è meglio pensare solo al viaggio.

Capitolo quattro: Korm

26 Dicembre 1892, Neval, Archadia.



Non penso di aver mai fatto una figura peggiore in vita mia davanti ad una ragazza.

Ero fermo e la guardavo.

A bocca aperta.

Direi anche con la faccia da ebete e un po’ di bava che colava dal margine della bocca, ma sono dettagli. Fatto sta che la parte idiota in me assopita da appena due giorni si è risvegliata di colpo, e proprio nel momento in cui avrei dovuto espellerla dal mio corpo.

Non so quanto tempo sono rimasto lì ad osservarla, forse ore, ma lei non sembrava minimamente turbata, anzi sembrava divertita.

Posso assicurare che la sua risata non è terrena.

Ascoltarla mentre ride è stata una delle esperienze più celestiali mai vissute finora: dalle sue dolci labbra emetteva una voce così pura, che faticavo a credere a ciò che ascoltavo.

Voi magari penserete che sto esagerando, e forse è così. Quando lo dico io che l’amore fa male.

-Scusi posso aiutarla?-

-Ehm no, no, non si preoccupi, anzi si, no lasci perdere, mi scusi ho le idee un po’ confuse...-

-Beh un po’ si nota, sicuro di sentirsi bene?

-Veramente no, infatti devo cercare subito un medico, devo aver sbattuto la testa e mi sento leggermente debole ma nulla di preoccupante.

-Mio padre è un dottore, può aiutarla lui, mi segua.

La ragazza ha abbandonato il suo dolce sorriso nel momento stesso in cui ha visto i miei capelli sporchi e incrostati di sangue secco, e ha capito che non sono pazzo; almeno su questo mi sono salvato.

La casa non è molto distante dal porto, dopo cinque minuti di camminata si intravedeva già un’insegna di legno attaccata sopra la porta di quello che sembrava un cottage stile inglese.

L’insegna recitava “Dottor K. Kingsley”.

-Oh mi scusi tanto signorina, che sbadato, non mi sono ancora presentato, il mio nome è Ludwig Loodle.

-Molto piacere, io mi chiamo Kelly, e da come può vedere dall’insegna, il mio cognome è Kingsley. I miei nonni erano maniaci riguardo la scelta dei nomi, le iniziali dovevano essere le stesse sia per il nome che per il cognome, è una regola di famiglia- mi disse lei sbuffando e con un sorriso un po’ strano, non senza nascondere un po’ di imbarazzo.

-Oh non si preoccupi, i miei genitori non erano da meno- risposi io cercando di sembrare leggermente più disinvolto.

Entrammo in casa. Era uno splendido cottage in stile rinascimentale, tutti i mobili erano antichi e di legno massiccio, con intarsi molto belli. I proprietari dovevano avere un buon gusto, e anche parecchi quattrini.

-Ludwig, ti presento mio padre Ken. Papà, quest’uomo ha bisogno delle tue cure.

-Ludwig Loodle, molto piacere signor Kingsley. Ieri ho attraversato il torrente con una zattera e ho battuto la testa, però non penso che sia grave.

-Mi lasci dare un’occhiata… No non è grave, ma è una ferita larga e potrebbe cominciare ad infettarsi presto. Kelly, portami il necessario per disinfettare e suturare la ferita, appena hai fatto vai a chiamarmi lo zio Korm.

-vado subito papà…

Continuavo a guardare la ragazza che usciva dalla stanza, il suo abito fluente che accarezzava il pavimento in mattoni e i capelli che volavano in perfetta armonia con l’aria fresca di campagna.

Ken mi rimproverò amaramente su come guardavo sua figlia, essendo l’unica della famiglia ed ancora molto giovane, nonché ingenua: dal suo comportamento capivo che era molto attaccato alla sua famiglia e non mi avrebbe mai permesso di andare dietro a Kelly senza prima avermi conosciuto e strapazzato per bene. Meglio un passo alla volta, ho pensato.

Finalmente Kelly tornò con gli attrezzi, questa volta però non riuscii a guardarla in faccia.

Non era colpa sua ovviamente, se fosse stato per me avrei continuato a fissarla per anni, c’era qualcos’altro che aveva catturato la mia attenzione, e la risposta era subito dietro di lei.

Korm, lo zio di Kelly, nonché fratello maggiore di Ken, era il vecchio pescatore barbuto e senza braccio che non riuscivo a guardare da bambino, ed era l’uomo che avevo visto al di là del fiume.

-Ciao Ludwig, ci si rivede!- Esclamò il vecchio con lo stesso ghigno beffardo che avevo intravisto il giorno prima.

 

 

 

Capitolo tre: Daydream

26 Dicembre 1892, Gingertown, Archadia.



Ahi, quanta bellezza.

Il parco dove ci trovavamo stranamente risaltava dei caldi colori dell’autunno (pur essendo già entrati in inverno): foglie gialle, rosse, arancioni e marroni si sollevavano da terra sfruttando la presenza di un soffice venticello.

Osservare in silenzio i suoi capelli, dannatamente belli e luminosi, di un rosso incandescente e che le arrivavano oltre le spalle, mi distraeva da tutti i miei problemi. Quella ragazza non aveva nemmeno vent’anni eppure aveva già il potere di stregarmi, mi conquistava ogni secondo di più, manipolava mente, corpo e anima; ma lei non lo sapeva.

Sono innamorato di lei, del suo sorriso raggiante, dei suoi occhi angelici, celesti e freschi come acqua di ruscello, la sua bellezza era ammaliante, andava oltre ogni immaginazione.

Il mio cuore palpitava ad una velocità impressionante quando i nostri sguardi si incontravano, ma cercavo sempre di distoglierlo per primo, per non sembrare troppo maleducato .

Era molto serena e sfoderava il suo sorriso ogni volta che ne aveva l’opportunità.

Un autentico spettacolo della natura.

Poi mi chiamò. Mi chiamò per nome! Il mio cuore esplodeva. Seduti su panchine diverse, relativamente vicine, separate soltanto da un albero.

- Ludwig! Ludwig, svegliati!-

 

La mia testa! La mia povera testa esplode! Dio mio, che diavolo è successo?

Ah, ma allora è stato tutto un dannato sogno.

Mi sono svegliato ripensando a quella ragazza, ma solo ora mi rendo conto di essermela inventata. Sembrava talmente reale! Lo ammetto, avrei preferito continuare a sognare. All’inizio ho provato a riaddormentarmi per riprendere il sogno da dove l’avevo lasciato, per rivederla di nuovo, ma con i vestiti bagnati era davvero difficile.

I vestiti bagnati! Mi ero completamente dimenticato! Dove diavolo mi trovo?

Sono arrivato alla foce del fiume! Ma come ci sono arrivato qui?

Avevo intenzione di tornare indietro seguendo la riva, ma la via era bloccata da alcuni massi.

Chissà come sono arrivato qua, devo aver percorso chilometri interi galleggiando, sono fortunato a non essere annegato!

Non mi resta che andare avanti.

Zaino in spalla, sono costretto a lasciare il lume a olio, diventato ormai inservibile.

Sulla destra si apre un sentiero, non molto comodo a dirla tutta, ma l’unico possibile. L’esperienza di ieri era più che sufficiente.

Comincio a seguire il sentiero.

Si sviluppa quasi completamente in salita, è ricco di alberi e rocce, ci sono anche parecchie vipere, ma i miei fidi scarponi non mi abbandonano, grazie a Dio, almeno loro.

Poi mi torna in mente la strana figura che ho visto prima di perdere i sensi.

Il mio cervello afferma di non averla mai incontrata prima d’ora, ma il mio cuore mi suggerisce di cercare più a fondo nella mia memoria…

Vuoto totale.

Mmmm, troppe riflessioni, mi gira la testa.

Prima la bellissima ragazza, poi l’uomo…

Mi gratto la testa e mi accorgo, con mio grande orrore, che ho i capelli interamente intrisi di sangue.

Devo aver battuto la testa su qualche scoglio, la ferità non è molto profonda, ma è larga, meglio sbrigarmi a trovare la prossima città.

Finalmente a metà sentiero incontro il primo segnale, indica che la prossima città dista solo due miglia dalla mia posizione attuale, mi conviene sbrigarmi.

Neval, questo il nome della città, è molto diversa da come me la aspettavo.

Importante città portuaria, non l’ho mai visitata da bambino perché i suoi pescatori mi incutevano autentico terrore.

Barbuti, alcuni senza gamba, altri ciechi, altri ancora senza braccia, allora pensai che la città avrebbe dovuto rispecchiare l’aspetto degli abitanti. Quanto mi sbagliavo.

Una delle città più belle che io abbia mai visto.

Alberi maestosi, mostrano tutto il loro incanto con effetti di luci e ombre, danzando armoniosamente sulle panchine del parco.

Il parco. Il parco! E’ identico a quello del sogno! Ma questo significa che…

Ed esattamente sulla stessa panchina che avevo sognato c’era la ragazza che avevo sognato la mattina stessa.

Ho ripreso a sognare, ma stavolta a occhi aperti.

 

 

 

Capitolo due: Al di là del fiume

25 Dicembre 1892, Gingertown, Archadia.




Ho ripensato molte volte se partire fosse la cosa giusta da fare. Qui non ho molto che mi trattenga, a parte i ricordi. Ma dopotutto cosa sono questi se non lo spartiacque tra ciò che è accaduto e ciò che non rivivremo più? Inutile vagare nel passato: ho bisogno di uno scopo nella vita, e di  certo non lo troverò deprimendomi.

Lo zaino non è molto pesante per fortuna, ho deciso di portare con me solo  attrezzi assolutamente indispensabili: un'ascia, un coltellino, una pentola, un mestolo, una coperta, qualche vestito e un lume. I libri ho deciso di non portarli: troppo pesanti, durante il cammino avrei avuto la possibilità di riposarmi in altre città e quindi mi sarei potuto fermare in qualche biblioteca, ma al momento è il problema minore.

Ora mi sto allontanando dalle mie terre. E' così difficile dire addio alla propria città natia, salutare le quercie centenarie: sotto la loro ombra, protetto dalle calde e afose giornate estive, mi sedevo a leggere o a scrivere, uno dei pochi momenti di serenità che mi concedevo dopo una giornata faticosa, spesso trascorsa a curare l'orto o a guadagnarmi da vivere.

Ormai sono quasi arrivato al confine della città. L'intero territorio è delimitato da un torrente che scende dalle montagne più alte di Archadia, il vero problema è che il torrente è troppo impetuoso per essere attraversato e non sono ancora stati costruiti dei ponti per sorpassarlo, l'opzione più ovvia da seguire sarebbe tornare indietro, proseguire lungo i sentieri e ripercorrere il perimetro della città una volta sorpassati i promontori. Inutile dire che non sono mai stato affascinato dai percorsi lunghi. E così ho scelto la strada più pericolosa, attraversare il torrente con una zattera improvvisata.

La corrente non è molto forte e il corso è sempre pianeggiante, ma il fiume è largo e profondo, e com’è nel mio stile da perfetto idiota, prima di cominciare a costruire la mia zattera, ho evitato accuratamente di fare queste osservazioni.

Costruita quella "imbarcazione", ottenuta legando tre tronchi dei primi alberi che mi sono trovato davanti con dei rampicanti, per di più non molto resistenti, mi resta solo da dirigerla verso la riva.

Per fortuna ho avuto la geniale, ma neanche tanto, idea di costruirmi un remo, sarebbe stato davvero difficile arrivare dall'altra parte del fiume supplicando la zattera.

Salito su di essa sono riuscito a rimanere in equilibrio pochi minuti, ma quel che basta per arrivare all'altra sponda. Appena prima di toccare terra qualcosa ha urtato l'imbarcazione, mi sono ribaltato e sono riuscito a intravedere una figura di là dal fiume che mi salutava con un ghigno, prima di perdere i sensi inghiottito dalla furia delle onde.

Capitolo uno: Storia di un'infanzia spezzata

 24 Dicembre 1892, Gingertown, Archadia.



E' la vigilia di Natale. Ho sempre odiato questo giorno. Da quando i miei genitori sono morti non ho più nessuno con cui giocare, nessuno con cui divertirmi durante le festività, nessuno che sappia come mi sento, nessuno che mi consoli, nessuno che mi aiuti, nessuno che mi faccia sentire vivo davvero.

La notte sta calando e mi trovo come al solito seduto davanti alla mia scrivania. Fissare le calde e lisce pareti, illuminate vivamente e ricoperte dalle foto della mia famiglia, mi trasmettono un senso di serenità che non riesco a trovare in nessun altro modo, se non leggendo o scrivendo.

Sono tutti usciti dalle proprie case. Rumori assordanti e schiamazzi mi riportano alla dura realtà, vedendo tutta questa gente felice e spensierata torno indietro nel tempo: odiavo sedermi a tavola con i miei tutte le sante sere, ero distrutto dall'abitudine, ma in un certo senso mi sentivo a casa. Sono passati quasi 8 anni da quando li ho persi, mi trovo ancora a casa, ma è come se stessi dimorando in una landa desolata.

Ho appena finito di preparare il mio zaino. Sono stanco di vivere nel ricordo e nel passato, ho bisogno di svoltare pagina e andare avanti, stavolta sono davvero deciso a costruirmi una nuova vita, ho solo bisogno di un pò di provviste e qualche libro.

E' così che comincia il mio lungo viaggio.

 
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